Il giallo estivo sulla chiusura di alcuni punti nascita in Veneto, tra cui quello di Adria, che sembra volgere al termine, merita, sicuramente, una breve considerazione e, comunque la si pensi, ha avuto almeno un risultato positivo.
Continuiamo a pensare che la chiusura dei punti nascita non veda, come unico protagonista negativo, il Comitato Percorso Nascita nazionale (CPNn). Siamo, anzi, ancora più convinti che, nei decreti emanati dal ministero competente nel periodo del ministro Lorenzin, non ci sia quella perentorietà che è stata paventata da più parti e non possiamo non tener conto, nella nostra valutazione, del fatto che il protocollo metodologico che regola le richieste di deroga a un'eventuale chiusura di alcune strutture, preveda un rilevantissimo ruolo della Regione (o, comunque, di altra P.A.) nella formulazione di tale istanza. Emerge, così, la curiosità, tutta legittima, di sapere che elementi la regione Veneto ha fornito al CPNn, per la successiva recente valutazione (dal noto esito infausto), in termini di standard operativi, tecnologia di sicurezza, descrizione della rete di punti nascita e bacino di utenza attuale e potenziale. E, soprattutto, considerato che, da quando il dr. Enrico di Mambro ha lasciato l'UOC Ostetricia - Ginecologia di Adria per assumere l'incarico di direttore (primario) della corrispondente UOC di Rovigo, il nostro ospedale è privo di tale figura, ci piacerebbe sapere quale "professionista con adeguata competenza ed esperienza" sia stato indicato dalla Regione quale responsabile del "punto nascita in deroga".
In ogni caso, le trasferte romane e veneziane, che qualcuno, privo di capacità di analisi politica, ha voluto banalizzare, ribatezzandole " gite", hanno portato a casa una sinergia tra comuni del Delta che auspichiamo, nel breve termine, possa estendersi a tutte le amministrazioni polesane. Non è un risultato da poco, tenuto conto che nei nostri sporadici incontri con i primi cittadini, strenuamente ricercati e concessi col contagocce, non abbiamo visto emergere, tranne che in un rarissimo caso, né la volontà di ascoltare chi si era fatto carico di necessità impellenti e indispensabili per il territorio, né la determinazione a fare squadra. Se qualcosa, al di là degli annunci, è cambiato, Domenico Mantoan permettendo, meglio così.
Chiudendo, per ora, con questo aspetto peculiare, riteniamo opportuno un esame di quali siano le criticità più considerevoli della sanità regionale, in parte derivanti da quella nazionale, alla luce del Piano socio sanitario regionale (PSSR) in itinere.
Al di là delle avveniristiche procedure per incamerare fondi individuate dalla Regione, sulla cui bontà, soprattutto nel passaggio dalla quota sanitaria al budget per le cosiddette case di riposo, continuiamo ad avere forti dubbi, è evidente che le politiche sanitarie nazionali hanno visto un incremento risibile delle "risorse indistinte" (cioè, non sottoposte a condizioni) e un coerente e rimarchevole aumento delle "risorse vincolate", in particolare nell'area farmaceutica (cosa, quest'ultima, che incide pesantemente sulla governance delle politiche e della spesa del farmaco, che ha come conseguenze l'inevitabile sfondamento di ogni previsione di spesa e l'aumento delle quote a carico dei cittadini). Continua a ricadere negativamente sul servizio sanitario regionale (SSR) e, dunque, sui cittadini, la carenza di medici e di personale infermieristico. Carenza che, in particolare per gli specialisti, è legata a una valutazione della potenzialità formativa e a criteri di programmazione, gestione e valutazione delle attività formative, quantomeno, obsoleti. Ciò comporta un gap, tra contratti di formazione specialistica e fabbisogno espresso dalle Regioni, di circa il 28%. Né, in quanto a salute (è proprio il caso di dirlo), stanno meglio gli investimenti, carenti sia dal punto di vista infrastrutturale, sia tecnologico.
Cosa ci aspettiamo, allora, da un PSSR efficace? Sicuramente un'attenzione, meno di facciata e più concreta, a questi temi e a quelli del rilancio della medicina generale e delle cure primarie e delle autonomie differenziate in materia di tutela della salute, nonché un'azione più incisiva per spingere verso la riforma delle Agenzie Nazionali (AIFA e AGENAS) e dell'Istituto Superiore di Sanità.
In particolare, poi, vorremmo davvero che ci si spingesse verso l'autonomia di programmazione e organizzativa della Regione, puntando anche su una maggiore autonomia nell'impiego delle risorse, rafforzando gli strumenti e gli indicatori di verifica dei LEA e dei LEAS, correlando le risorse per il fondo sanitario nazionale con l'andamento del PIL. Così come vorremmo vedere una richiesta di rivalutazione delle potenzialità formative, con la definitiva abolizione del numero chiuso nelle facoltà di medicina. E auspichiamo, altresì, l'impegno delle istituzioni regionali per la revisione dei contenuti formativi e degli attuali profili professionali. E vorremmo programmi di investimenti in grado di intervenire in modo positivo sia nella definizione degli obiettivi strategici, sia degli strumenti amministrativi, affinché si attenuino anche gli effetti delle fluttuazioni economiche nazionali. E riteniamo non sia fantascientifico pretendere la ridefinizione della governance delle politiche e della spesa farmacologica, incrementando le misure di trasparenza per il budget, il calcolo del playback e la concorrenza sui prezzi.
Se a tutto questo si potessero unire la certezza di una più omogenea ridistribuzione territoriale delle Aziende ULSS e un forte ridimensionamento del privato convenzionato, a vantaggio del pubblico, il PSSR in discussione avrebbe un significato e, magari, non dovremmo neppure sottolineare ogni volta le peculiari criticità di questo nostro amatissimo Polesine. In caso contrario, tutto risulterà un mero esercizio di stile, perfetto nella forma, ma sterile, se non pernicioso, per la nostra salute
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